La leadership delle donne – lo mostrano i numeri - è una risorsa vastamente sottoutilizzata. Negli ultimi anni abbiamo forse capito che il tema riguarda le donne e gli uomini insieme: tant’è vero che le Nazioni Unite hanno reclutato degli uomini (capi di stato, leader aziendali, rettori universitari) come champions dell’iniziativa #heforshe (http://www.heforshe.org/). Credo che si stia avviando all’esaurimento la stagione delle mere rivendicazioni, almeno nei Paesi occidentali, e che si stia aprendo una stagione di collaborazione e di partnership che devono unire donne e uomini in una missione comune. Nei contesti più avanzati sta diventando di regola, per esempio, la condivisione delle responsabilità genitoriali: sicuramente la generazione dei millennials che diventano padri oggi ha idee molto diverse rispetto a quelle che avevano i loro genitori su come esercitare questo ruolo. Governi e aziende hanno cominciato a muoversi per recepire queste realtà (un esempio: in Facebook “paternity leave” e “maternity leave” sono del tutto paritarie); dare a uomini e donne gli strumenti giusti è indispensabile non solo per consentire alle donne di esprimere il loro talento, ma anche perché gli uomini stessi si costruiscano un’identità più ricca e meno stereotipata su un ruolo tradizionale che è gabbia anche per loro.
Lavori nel mondo tech da tanti anni, una realtà che è notoriamente dominata da leader uomini. Quali sono alcune tue osservazioni su quali donne riescono ad eccellere, e perché? Cosa possono imparare da loro le giovani neolaureande di oggi?
Secondo la Commissione Europea, ci saranno circa 800mila posizioni da riempire nell’industria dell’ICT in Europa nel 2020: non vorremo lasciarle tutte agli uomini? Con questa fame di competenze non potranno che esserci opportunità per noi tanto quanto per loro. “Be the nerd”, dice Mark Zuckerberg alle ragazze. Le leader di oggi, che purtroppo spesso non hanno avuto una formazione nelle discipline STEM, hanno dovuto inventarsi ognuna il proprio percorso. Il loro merito è stato quello di non avere avere paura di nulla, dai ruoli di product management a quelli di natura commerciale, dalle operations al lavoro di lobbying e policy, dal mondo della creatività a quello del customer support. (Hanno evitato, saggiamente, i ruoli da cui le donne fanno più fatica a uscire per riconvertirsi, come le risorse umane e la comunicazione.) Oggi invece le giovani possono entrare al cuore dell’innovazione dalla porta principale: ci sono sempre più strumenti a disposizione per acquisire le competenze digitali che occorrono, dai coding bootcamp alla scuola gratuita 42 (http://www.42.fr/) fondata da Xavier Niel e altri imprenditori. Bisogna infine tener presente che – e non era così all’inizio della mia carriera – praticamente tutti i settori sono oggi profondamente trasformati dalla tecnologia (“software is eating the world”), e quindi chi lavora nel retail, nei media, nella logistica, nei servizi finanziari, nella sanità, nell’energia e così via in quasi tutti i settori sarà necessariamente un leader tecnologico – o non sarà leader.
Sei una angel investor per Italian Angels of Growth, e perciò hai avuto modo di conoscere molti imprenditori italiani. Quali osservazioni o riflessioni ti senti di fare su questo tema?
Mi piace investire su team forti che abbiano business scalabili globalmente. Con le piattaforme globali che abbiamo a disposizione oggi non ha senso che una startup, se i fondatori sono in gamba, limiti le proprie ambizioni all’Italia. Come investitrice, posso testimoniare che - purtroppo - le donne startupper sono ancora molto poche, e quelle con ambizioni globali ancora meno. Nel portfolio dei soci di Italian Angels for Growth una sola azienda su oltre 25 investimenti fatti negli ultimi anni, Drexcode, è stata avviata ed è guidata da un team di donne. In Italia siamo forse ancora vittime della mentalità del “piccolo è bello”, del coltivare il proprio giardino: mentre quello che vorrei vedere dalle imprenditrici italiane è la grinta di cambiare il mondo.